mostre

Sandro Chia. Viandante naufrago

Dal 27/03/2004 al 10/05/2004
Galleria Boxart, Verona

VIANDANTE NAUFRAGO  

(Felicemente Sandro Chia) - A.B.Oliva 

Se l'arte è il movimento eccellente della vita, questo vuol dire che dentro di sè comprende la massima apertura fino alla deriva che implica il superamento di ogni utile direzione e di ogni approdo. 
Le derive dell'arte naturalmente sono infinite, quanti sono gli artisti che le rappresentano con la propria opera. In questo senso ogni artista è felicemente viandante e naufrago nello stesso tempo. Affronta il processo creativo con emozione e senso dell'avventura, pronto al fallimento o al felice risultato dell'opera. 

Ma la felicità dell'opera non è mai l'approdo definitivo, piuttosto la sponda da cui ripartire per ulteriori avventure creative, sempre al limite del pericolo di naufragio. 
Sandro Chia, artista centrale della Transavanguardia, ha sempre operato sul nomadismo e l'avventura creativa. Nel nostro caso due quadri portano come titolo "Il viandante" e "Il naufrago". Tutta la mostra è giocata sul narcisismo dell'autoritratto, che però mette in risalto il pericolo iconografico che l'artista corre quando mette mano all'opera. 
Chia si fa carico non soltanto del peso della pittura ma anche della fortuna pubblica del suo nome. 

Sandro Chia trascrive il proprio nome e cognome sulle tele come cifra stilistica di un processo creativo coraggiosamente esposto al movimento e al naufragio, al dinamismo della forma e al confronto col possibile scacco finale. L'artista carica ironicamente l'opera di una firma che si assume tutte le proprie responsabilità. Ogni postura è accompagnata e nominata dall'identità dell'artista, che non è soltanto viandante e naufrago ma anche salvatore della pittura, un San Cristoforo che non porta sulle spalle il bambino ma il peso di una storia dell'arte gravante su ogni processo creativo. 

Una storia dinamica e vitale, mai feticizzata e costretta nella cornice bensì pronta ad esplodere fuori di essa e ad espandersi eroticamente oltre la parete, nello spazio della vita che comprende anche la meraviglia dello spettatore. Scultura, pittura, disegno o mosaico, l'opera di Chia intreccia figurazione ed ornamentazione per festeggiare l'identità della pittura, che slitta dal passato verso il presente e cerca la speranza del futuro. 

Sandro Chia opera su un ventaglio di stili, sempre sostenuto da una perizia tecnica e da un'idea dell'arte che cerca dentro di sè i motivi della propria esistenza. Tali motivi consistono nel piacere di una pittura finalmente sottratta alla tirannia della novità ed anzi affidata alla capacità di utilizzare diverse "maniere" per arrivare all'immagine. 
I punti di riferimento sono innumerevoli senza esclusione alcuna: da Chagall a Picasso a Cézanne a De Chirico, da Carrà futurista quello metafisico e novecentista, a Picabia. 
Ma il richiamo stilistico è subito riassorbito dalla qualità del risultato, all'incrocio tra perizia tecnica e stato di grazia. La pittura diventa il campo dentro cui manualità e concetto trovano finalmente un equilibrio. 

In Chia l'immagine è sempre sostenuta dalla necessità del titolo, di una didascalia o di una piccola poesia dipinta direttamente sul quadro, che serve a svelarne il meccanismo inter-no. Il piacere della pittura è accompagnato dal piacere del motto di spirito, dalla capacità di integrare il furore della fattura del quadro con il preventivo distacco dell'ironia. 

L'opera diventa un circuito mobile di riferimenti interni ed esterni, tutti al servizio di un'immagine che si offre allo sguardo in una doppia valenza; come sostanza pittorica e come forma mentale. Nel primo caso l'immagine è appagata dalla materia che la costituisce, nel secondo caso essa si pone come dimostrazione stupefacente di un'idea: l'arte esiste soltanto se incarnata nel tessuto dell'arte. In Chia l'immagine è sempre lampante. Egli pratica, attraverso la pittura, la teoria di una manualità assistita sempre dalla messa in opera di un'ipotesi formulata attraverso la particolarità di una figura o di un segno. Se l'immagine costituisce da una parte lo svelamento dell'idea iniziale, dall'altra è anche testimonianza del procedimento pittorico che la produce e ne svela l'interno circuito, la gamma complessa di riflessi, le possibili corrispondenze, gli spostamenti ed i rimandi tra le diverse polarità. 

La mobilità produttiva di Chia nasce dalla pulsione di aggirare la geometria di ogni progetto fissato ad un'idea del mondo, gelato in uno schema ideologico. Figure comiche ed altere al limite del dramma, timbri forti e leggeri di colori, scorrono incessantemente sulla superficie del quadro, secondo i dettami di una sensibilità a ventaglio che, come il pavone, fa la coda, esibendo la capacità di tramutarsi continuamente in altro stile. Le singole opere diventano piccoli transiti, soste graziose nel luogo dello Stile, del grande stile, quello che permette all'artista di trovare l'identità attraverso il fare. 

Il "manierismo" di Chia poggia sulla volubilità dello stile, sulla capacità di cogliere il veloce corso delle cose e le loro intelligenti e nascoste corrispondenze. La cura del particolare e di piccole scene denota una coscienza della precarietà, della mancanza di appigli definitivi che portano l'artista ad operare felicemente, senza drammi, sulla mobilità sensibile della manualità, sull'uso transitorio della pittura. La pittura diventa il piano inclinato su cui scorrono e transitano le peripezie stilistiche di un immaginario lontano da ogni eroica fissità. 

L'opulenza espressiva di Chia poggia proprio sulla libera oscil-lazione della sua pulsione creativa, disinibita ed aperta ad ogni recupero, nella considerazione che il linguaggio e le sue articolazioni non portano dentro l'opera le forme simboliche, storicamente corrispondenti al loro uso. Ormai il linguaggio ha subito una sorta di esaurimento storico, come del resto ogni altro dato della cultura e dell'ideologia. Crisi significa perdita di identità, anche per il linguaggio che viene rivitalizzato e messo in orizzontale fuori dall'uso sacrale della citazione d'avanguardia. 

La temperatura dell'opera non permette alcuna fedeltà, Chia riesce a trasferire e trasformare alcuni linguaggi eroici delle avan-guardie storiche e di altre correnti artistiche, come il Novecento, nei toni domestici di un fare che ormai ritiene consumato ogni parametro e ogni albero genealogico. L'arte è partire dalla catastro-fe semantica che non ha risparmiato nemmeno le avanguardie, approfittare della perdita di significati, pronta a transitare in ogni luogo, comune o proibito. 

Molti climi culturali si addensano nell'opera di Chia, senza che egli si identifichi nel loro uso. Essa è la conseguenza e lo sblocco di linguaggi storicamente puri che vengono contaminati attraverso il processo dell'arte. Una deriva di piacere presiede il nomadismo di Sandro Chia che sfiora molti linguaggi cosmopoliti, dai Fauves ai simbolisti. Eppure un arguto genius loci presiede l'intero suo lavoro portando le matrici adoperate a confluire nello stato di gra-zia di uno stile corposamente italiano. 

Achille Bonito Oliva 

Inaugurazione